Per gentile concessione dell’autore Luca Piatti, che ringraziamo, pubblichiamo il testo della conferenza “Katana la spada giapponese” da lui tenuta domenica 5 marzo 2017 presso Yamato Associazione culturale giapponese a Casale Monferrato, Alessandria. Il testo è stato pubblicato anche sul periodico “Pagine Zen” nel n.112 di maggio/agosto 2017.
TACHI, KATANA E WAKISASHI: CARATTERISTICHE, EVOLUZIONE ED ESTETICA
La katana è l’arma giapponese più conosciuta, l’arma che per tutti noi è identificativa della figura del samurai, immedesimazione avvalorata dalla letteratura, dal cinema e dai fumetti giapponesi, i manga. I samurai erano un gruppo sociale chiuso, caratterizzato da specifiche norme di comportamento e da un ruolo predeterminato. La katana è una NihonTō, dove Nihon significa Giappone e Tō lama, NihonTō è un termine della lingua giapponese che definisce le lame forgiate in Giappone con tecnica tradizionale. Aggiungo subito una considerazione, lo studio della storia, della tecnica costruttiva, del maneggio delle NihonTō è lungo e complesso, tanto da diventare un vero e proprio percorso di vita, al fine del quale nessuno potrà mai avere la presunzione di aver capito tutto. Se la katana è la NihonTō più conosciuta, non è l’unica, ci sono la tachi e la wakizashi e altre che in questa sede non prenderemo in considerazione. Tachi, katana e wakisashi si distinguono anche in base alla lunghezza della lama, detta nagasa o ha watari, quest’ultima, in Giappone, è ancor ora calcolata in shaku, una antica unità di misura di lunghezza giapponese che, dal 1891, corrisponde a 30,3 centimetri. Uno shaku equivale a 10 sun e a 100 bū. La katana e la tachi misurano più di due shaku; la wakisashi misura più di uno shaku; per completezza, bisogna introdurre il tanto che è un coltello con la lama che misura meno di uno shaku. La tachi è una spada portata appesa al fianco sinistro dell’armatura, la yoroi, il filo di taglio è rivolto verso il terreno, con curvatura della lama collocata verso il codolo, è usata da un guerriero a cavallo contro un soldato appiedato. La katana è una spada portata infilata nella cintura di chiusura dell’abito, la obi, con il filo di taglio disposto verso il cielo, la curvatura della lama è situata verso la punta, è impiegata in duello fra persone appiedate. La tachi è l’arma dominante dalla fine del periodo Heian fino al primo Muromachi, è una lama caratterizzata da una forte curvatura e una lunghezza compresa fra i 65 e i 70 cm., se molto più lunga si chiama nodachi; passando da una forma intermedia, chiamata uchigatana, evolve verso la più nota katana. Quest’ultima, ha una lunghezza attorno ai 70 cm ed è destinata a diventare la spada più diffusa in Giappone, sostituendo, in combattimento, la tachi a metà del periodo Muromachi, attorno al 1480. Da questo periodo, molte tachi, vennero accorciate, operazione attuata per adeguare la loro curvatura a quella della katana, questo intervento viene effettuato nel codolo e si chiama suriagè. La wakisashi è una spada con una lunghezza compresa fra i 30,3 e i 59,0 cm, si porta affiancata alla katana, infilata nell’obi, con il filo verso alto. Fino alla fine del periodo Edo, lasso di tempo che inizia nel 1603 e si conclude nel 1868, la katana e la wakisashi erano portate assieme, formando il daishō, l’emblema dell’appartenza alla classe dei samurai; dopo il 1868, con la proclamazione, in tempi diversi, dei tre editti di Haitorei, fu proibito per legge ai samurai di usare in pubblico il daishō.
Una NihonTō è contemporaneamente una raffinata forma artistica giapponese, tipica degli abitanti delle isole del Giappone e una terribile arma perchè estremamente efficiente in combattimento, funzionalità amplificata dall’uso di una tecnica di scherma molto efficace. Osservare una lama giapponese fa nascere sensazioni contrastanti, quali la potenza, la paura, la bellezza e la meraviglia. E’ lecito chiedersi cosa agli occhi del popolo giapponese ci può essere d’artistico in una lama, tanto da poter parlare di Token Bijutsu, termine che tradotto significa “Lame d’arte”. Al primo punto si pongono le rigorose geometrie che costituiscono la lama, formata dalla sezione di forme circolari o paraboliche, questa caratteristica è ben evidente nel kissaki, la punta, dove il fukura e il ko shinogi sono collegati fra loro da un ferreo rapporto geometrico. Il fukura è la parte del filo di taglio appartenente alla punta e il ko shinogi è la linea diagonale che separa il kissaki dallo shinogi ji, raccordando il shinogi con il mune. Questo lo dico anche per avvalorare la mia iniziale considerazione sulle difficoltà nello studio delle lame giapponesi. Al secondo punto per la definizione del valore artistico di una lama poniamo la tecnica di lavorazione del metallo che genera due forme decorative indipendenti. La prima si ottiene con la ripiegatura del metallo che produce il primo elemento decorativo chiamato hada, formato da un assieme di righe o disegni presenti sulla superficie della lama, di colore diverso rispetto al colore di fondo e dipendente dalla tecnica di forgiatura dello spadaio. Gli hada più comuni sono il mokume, quando il decoro della superficie ha un aspetto simile agli anelli di crescita degli alberi, è anche l’hada più diffuso. Segue l’itame, variante del precedente, caratterizzata da anelli di crescita fra loro regolari, abbiamo poi il masame, quando le linee diritte sono predominanti. Mokume, itame e masame sono i tre hada di base ma, non esauriscono il panorama delle possibilità. Un’accenno al ayasugi, dove il disegno raffigurato ricorda le onde del mare, la sua presenza sulla lama permette l’attribuzione alla scuola di Gassan, sita nella città di Osaka. Il secondo aspetto artistico della tecnica di lavorazione del metallo si manifesta durante l’operazione di tempra, lavoro che fa nascere gli hataraki o le attività sull’acciaio che costiscono gli attributi estetici propri delle lame, sono delle formazioni cristalline di acciaio che differiscono dal contesto in cui sono collocate, creano sulla superficie del metallo particolari disegni che derivano dal modo in cui il fabbro ha disposto sulla lama la mistura di argilla e cenere detta yakiba tsuchi. Gli hataraki sono la firma irripetibile dello spadaio o della scuola. La sensibilità artistica giapponese collega gli hataraki alla natura, così nella parte della lama sottoposta all’operazione di tempra, area che è chiamata yakiba, troveremo delle figure che raffigurano: gli ashi o piedi, gli yo o foglie, i sunagashi o increspature di sabbia, gli hakikake che evocano l’effetto lasciato sui capelli da un colpo di spazzola, i kinsuji o linea d’oro, visibili sulla lama come una linea sottile e brillanate di color nero, gli inazuma, una linea a zig zag che evoca il fulmine, gli uchinoke, delle piccole linee a forma di un quarto di luna che sono una delle caratteristiche presenti nelle lame opera di grandi spadai, per esempio sono visibili sulla tachi chiamata Mikazuki Mumechika. Tutti questi hataraki e molti altri non descritti sono disposti al di sopra e al di sotto della linea di tempra, chiamata hamon, come si intuisce dal nome, la linea è il risultato della operazione di tempra. La sua forma deriva da come lo spadaio la disegna sulla lama, tracciandola usando una mistura di cenere e argilla, la yakiba tsuchi. Per gli hamon ci sono molteplici e complicate classificazioni, di cui le principali sono: il suguha, se diritto, il notare, se ondulato e il gunome se composto da una successione di semicerchi, ad imitazione della linea ondulata realizzata nell’affiancare le pedine usate nel gioco del go, le pietre. L’hamon è composto da particelle chiamate nie e nioi, entrambi di color bianco, i nie sono visibili a occhio nudo e per questa loro caratteristica vengono paragonati alle stelle che brillano singolarmente in cielo. I nioi sono punti molto più piccoli, tanto da non essere visibili a occhio nudo ma, percepibili solo come un insieme, per questa ragione sono paragonati alla via lattea. Le caratteristiche tecniche delle lame giapponesi sono la rigidità, l’infrangibilità e la grande capacità di taglio. Il kote, il taglio della mano all’altezza del polso, è considerato realizzabile senza nessuna difficoltà da qualunque lama e da qualunque spadaccino. La spada giapponese riesce a soddisfare dei requisiti fra loro in contrasto, perchè l’infrangibilità richiede un acciaio morbido, la capacità di mantenere l’affilatura richiede un acciaio duro, di contro un acciaio troppo duro rende la spada fragile e un acciaio troppo morbido diminuisce la capacità di taglio. Il coesistere, nella giusta quantità, di tutte queste caratteristiche, fra loro in contrasto, è permesso dall’unico materiale costituente la lama, il tamahagane, un acciaio con alto contenuto di carbonio, l’elemento alla base della durezza del metallo e di bassissime percentuali di zolfo e fosforo, la cui presenza dimimuisce le qualità ricercate nella lama.
La caratteristica principale di una lama giapponese risiede nella sua struttura, nessuna altra arma bianca al mondo è mai stata realizzata in questo modo. Le NihonTō presentano una superficie esterna dura, chiamata kawagane, e un’anima interna, più tenera, chiamata shingane. Il kawagane è la parte della lama che si vede, dura, rigida e affilata, con alto contenuto di carbonio, formata ripiegando il metallo molte volte, al fine di eliminare lo zolfo e il fosforo e produrre un numero di strati sovrapposti con lo scopo di rafforzare la lama. Il metallo può essere ripiegato al massimo venti volte, una lama giapponese può avere un minimo di trentamila strati e un massimo di un milione di strati. La ripiegatura permette anche la distrubuzione uniforme del carbonio. Lo shingane è inglobato nel kawagane, è dunque la parte interna non visibile, conferisce alla lama la necessaria elasticità, è composta da acciaio a basso contenuto di carbonio che si ottiene aggiungendo del ferro al tamahagane, anche lo shingane viene ribattuto molte volte con lo scopo di ridurne il peso. Il kawagane si avvolge attorno allo shingane, formando lo sunobe, una barra in metallo a sezione rettangolare che, in seguito, verrà lavorata a caldo e a martello, in porzioni di circa quindici centimetri, a formare la forma della lama. Sempre a martello si sagomerà il lato del tagliente. Per ultimo, al sunobe, verrà tagliato, ad una estremità, un pezzo di metallo di forma triangolare, questo per realizzare il kissaki, a questo punto la lama è pronta per essere sottoposta all’operazione di tempra. Una lama giapponese è frutto del lavoro dello spadaio, il kajishi, del forbitore, il tojishi, con il compito di evidenziare sulla lama tutte le sue caratteristiche estetiche. Sulla lama forbita verrà realizzato l’habaki, l’elemento, in metallo, che permette il fermo della lama entro il fodero e la shirasaya, la montatura in legno di magnolia pensata per conservare la lama. In Giappone, si usa classificare le NihonTō in base all’epoca di forgia. Le lame più antiche, quelle realizzate fino al medio periodo Heian, il 987, sono chiamate jokoto, sono lame diritte. Le lame forgiate dal 987 al 1596 sono chiamate koto, le vecchie lame; dal 1596 al 1781 sono chiamate shinto, le nuove lame; dal 1781 al 1876 sono chiamate shinshinto, le nuove nuove lame, il 1876 è l’anno di proclamazione del terzo editto di Haitorei; dopo il 1876 troviamo le gendaito.
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